Le previsioni di Sace indicano per l’Italia una ripresa robusta dell’export già a partire dal 2021, con diversa intensità a seconda dei settori. Si conferma per l’agroalimentare una “tenuta” maggiore rispetto al resto dell’economia italiana, con la previsione di un rimbalzo dell’8% nel 2021, nel presupposto che si attenuino o non aumentino le imposizioni tariffarie adottate dagli Stati Uniti, il secondo mercato di sbocco per il food and wine italiano, dopo la Germania.
È cautamente ottimista il quadro delineato da Sace sull’evoluzione dell’export italiano nel 2021, in accordo con le proiezioni sulla ripresa del commercio mondiale elaborate dall’Oxford economics. Nello scenario base, ovvero quello ritenuto più probabile e che prevede il contenimento della pandemia entro la fine di quest’anno e l’efficacia delle misure di politica economica adottate, è comunque possibile prevedere un recupero pressoché completo dei flussi in uscita già a partire dal 2021.
Per quanto riguarda, invece, l’anno in corso, le esportazioni italiane di beni, in valore, sono attese in forte contrazione, determinando un ritorno ai livelli di quattro anni fa. I dati relativi al primo semestre dell’anno indicano infatti una flessione di oltre il 15% rispetto allo stesso periodo del 2019, ma la ripresa sostenuta dovrebbe avvenire già nel 2021 e consolidarsi negli anni successivi. Altrettanto reattiva sarà l’evoluzione prevista per l’export italiano di servizi, dopo il crollo atteso nel 2020 (-29,5% il consuntivo relativo dei primi tre mesi dell’anno), da ascriversi principalmente al crollo dei flussi turistici, con un ritorno ai livelli pre-crisi Covid-19 già nel prossimo anno. L’intensità della caduta delle vendite all’estero nell’anno in corso e la velocità di ripresa per il prossimo anno, restano comunque differenziate in base ai settori di attività e ai mercati di sbocco.
Un quadro eterogeneo tra i diversi settori del nostro export
Le maggiori spinte al ribasso durante il 2020 riguarderanno, secondo le proiezioni di Sace, alcuni settori dei beni intermedi, come i metalli e, in misura minore, i prodotti in gomma e plastica, che hanno sofferto l’interruzione delle Catene Globali del Valore (CGV) causata dal blocco diffuso delle attività produttive nella prima metà dell’anno. Il comparto chimico risulterà meno impattato nel 2020 grazie al traino offerto dalla farmaceutica. Criticità sono attese anche per i beni di consumo, in particolare nel settore della moda che si riprenderà solo lentamente nel 2021, mentre le vendite all’estero di mobili e arredamento potranno, almeno in parte, beneficiare della maggiore attenzione dei consumatori legata alla più lunga permanenza nelle abitazioni, anche grazie al diffuso ricorso dello smart working. Molte sono inoltre le ombre, nel 2020, per i beni di investimento, specie nei mezzi di trasporto (soprattutto il segmento automotive, in difficoltà già dallo scorso anno, ma con qualche spiraglio positivo per i veicoli più green), nella meccanica strumentale e negli apparecchi elettrici, per via dei ritardi e delle cautele nelle scelte di famiglie e imprese, in un contesto ancora caratterizzato da forte incertezza.
Le prospettive per l’agroalimentare italiano
Saranno invece le esportazioni italiane di agricoltura e generi alimentari a essere le meno colpite nel 2020. Alla flessione del 5,4% attesa a chiusura anno, seguirebbe infatti, secondo le stime, una rapida ripresa a partire dal 2021 (+8% rispetto all’anno precedente). A differenza di altri settori, infatti, la produzione alimentare non ha subìto drastici arresti durante il lockdown ed è riuscita in parte a mitigare le perdite dovute alla chiusura forzata del canale Horeca, grazie all’aumento della spesa alimentare delle famiglie.
Un segnale confortante arriva anche dai dati Istat relativi alla produzione dell’industria alimentare, che indicano a metà anno un’attenuazione della tendenza flessiva. Dopo aver segnato variazioni del -6,8%, -8,5%, e -8,4% rispettivamente nei mesi di marzo, aprile e maggio, a giugno l’indice della produzione industriale limita la sua caduta a un meno 4,7 su base annua. Sempre il mese di giugno fa da spartiacque nella dinamica delle esportazioni. Secondo le elaborazioni Ismea sui dati Istat, dopo il calo di aprile (-1,5%) e il tonfo di maggio (-10,2%), a giugno torna ad aumentare l’export agroalimentare italiano, con un +3% su base tendenziale. Grazie alla performance particolarmente brillante dei primi due mesi del 2020 (+10,8%), il consuntivo del primo semestre 2020 tocca i 22,1 miliardi di euro, con una crescita del 3,5% su base annua. Un risultato che conferma, ancora una volta, le doti anticicliche del comparto, soprattutto se messe in relazione alla perdita di 15 punti percentuali dell’export italiano complessivo, registrato nello stesso periodo.
Sempre secondo le elaborazioni di Ismea, la flessione delle spedizioni oltre confine del periodo aprile-maggio ha riguardato in particolare prodotti dell’industria dolciaria, caffè, prosciutti e altre conserve suine, liquori, formaggi Grana Padano e Parmigiano Reggiano, Prosecco, vini confezionati, acque minerali, olio d’oliva. Al contrario, queste flessioni sono state attenuate dall’export di pasta, conserve di pomodoro, riso e mele. La ripresa delle esportazioni di giugno ha riguardato più i volumi, che il valore, di quasi tutti i prodotti agroalimentari nazionali.
La geografia del nostro export
Quanto ai mercati di sbocco, le previsioni di Sace indicano per il 2020 un segno meno delle esportazioni verso tutte le destinazioni, sebbene sulla loro capacità di ripresa verso i singoli mercati incideranno la magnitudo con cui questi hanno risentito della crisi sanitaria, la severità delle misure contenitive attuate dai governi e il grado di integrazione delle economie nazionali nei processi produttivi regionali e globali. In questi termini le nostre vendite verso i paesi europei avanzati e il Nord America subiranno una contrazione marcata nell’anno in corso, seguita da una ripartenza già nel 2021, sebbene non sufficiente per ritornare sui livelli del 2019. Una maggiore resilienza sarà mostrata dal nostro export nei mercati dell’Europa emergente e degli Stati Csi, mentre in Asia saranno solo le economie che hanno reagito prima e meglio alla crisi pandemica quelle dove la domanda di Made in Italy ripartirà più velocemente. Una caduta delle vendite nel 2020 seguita da una ripresa apprezzabile nell’anno successivo caratterizzerà anche la dinamica delle nostre esportazioni verso l’America Latina e l’Africa Subsahariana, nonostante il pesante impatto sanitario della pandemia nella prima regione e i timori di una diffusione incontrollata nella seconda area alimentino rischi al ribasso per un pieno e veloce recupero dell’export italiano.
Prepararsi anche a scenari più avversi
L’elevata incertezza riguardo l’evoluzione dell’emergenza sanitaria a livello globale ha spinto tuttavia la Sace a simulare scenari di previsione alternativi, basati su assunti differenti e peggiorativi rispetto a quelli dello scenario finora esposto, in relazione alla durata e alla intensità dello shock sull’economia globale e, di riflesso, sulle esportazioni italiane. In un primo scenario alternativo, è stata considerata l’eventualità di un nuovo lockdown su scala globale nei primi mesi del 2021, mentre in un secondo scenario alternativo è stato ipotizzato che le restrizioni all’attività economica e le misure di distanziamento sociale attualmente in essere in molte geografie siano allentate in maniera più lenta e graduale rispetto allo scenario base.
In entrambi gli scenari, la necessità di riattivare o mantenere le restrizioni al movimento delle persone e ai processi produttivi sia nazionali che internazionali accentuerebbe il crollo dell’export italiano, che nel 2020 segnerebbe rispettivamente -12% e -21,2% nei due scenari. Il 2021 non sarebbe più un anno di “rimbalzo”, ma vedrebbe una tendenza ancora negativa nel primo scenario e soltanto lievemente positiva nel secondo scenario alternativo, lasciando il pieno recupero dei valori esportati nel 2019, in entrambi gli scenari, concretizzarsi non prima del 2023.