Ismea stima per il 2020 una perdita dei consumi alimentari di 24 miliardi di euro
Nonostante sia stato tra i settori meno colpiti dalla crisi indotta dalla pandemia globale, l’agroalimentare italiano rischia di chiudere il 2020 con una perdita nei consumi finali di circa 24 miliardi di euro. A renderlo noto è l’Ismea, nel suo terzo rapporto relativo all’ impatto dell’emergenza Covid -19 sul settore agricolo e alimentare.
In base alle stime formulate dall’Istituto di studi e servizi sul mercato agricolo, la chiusura del canale Horeca durante i mesi di lockdown potrebbe determinare a fine anno una contrazione dei consumi extradomestici del 40%, per un ammontare di circa 34 miliardi di euro. Si tratta peraltro, chiarisce l’Istituto, di un’ipotesi non particolarmente pessimistica, in quanto non viene tenuto conto dell’attuale quadro di recessione economica che potrebbe avere impatti importanti sui comportamenti e sulla domanda delle famiglie e i cui effetti peggiori sono attesi a partire dall’autunno.
Le perdite sul canale extradomestico sono state in parte compensate dalla crescita delle vendite al dettaglio ( +6% la proiezione per tutto il 2020 di Ismea) limitando a 24 miliardi di euro , ossia il 10% in meno rispetto allo scorso anno, la flessione sui consumi alimentari totali.
Considerando che questo valore incorpora una serie di margini (di servizio, commercializzazione e trasporto) che non riguardano direttamente il settore agroalimentare e che l’impatto della riduzione della domanda si scarica in parte anche sui prodotti importati, una prima stima provvisoria valuta che lo shock della domanda di prodotti agroalimentari potrebbe determinare una riduzione del valore aggiunto della produzione agricola dello 0,9% e una riduzione dell’1,4% di quello dell’industria alimentare, delle bevande e del tabacco.
Mentre le recenti riaperture stanno consentendo ai canali della ristorazione extradomestica di riorganizzarsi, pur nei limiti del rispetto delle norme sanitarie e le vendite al dettaglio si sono mantenute sostenute almeno fino alla prima metà di maggio, l’altra grande incognita che pesa sulle prospettive dell’agroalimentare italiano è rappresentata dall’export. In relazione a questa variabile, l’Ismea non ha formulato previsioni sull’entità dell’impatto, limitandosi a sottolineare che la crisi si è andata a innestare su un trend particolarmente positivo delle esportazioni sia nel 2019 che nei primi mesi del 2020 e che, come è lecito aspettarsi, le penalizzazioni più importanti interesseranno i settori più dipendenti dallo sbocco estero come l’ortofrutta trasformata, l’olio di oliva, il riso, prodotti da forno, pasta, caffè, cioccolato, condimenti e spezie, piatti pronti e, naturalmente, vino e spumante.
I principali elementi filiera per filiera
Passando all’analisi delle principali filiere produttive gli elementi più rilevanti messi in luce dall’analisi di Ismea sono i seguenti: per il settore ortofrutticolo, all’inizio della campagna di vendita della frutta estiva i timori relativi a un calo di produzione hanno trovato una prima concreta conferma nelle stime, sia a livello europeo che nazionale, del calo produttivo di pesche e nettarine (-20%). Tale risultato è conseguenza soprattutto delle gelate tardive che, oltre l’Italia, hanno colpito anche altri importanti bacini produttivi europei come Aragona e Catalogna, in Spagna; la Valle del Rodano (Francia) e la Macedonia (Grecia). Per i lattiero caseari la situazione permane critica, con la conferma della pesante erosione dei listini dei formaggi grana, determinata dal combinato disposto di una produzione in crescita, dal rallentamento delle vendite nel complesso e dalle incertezze sugli andamenti dell’export. Naturalmente, anche il prezzo della materia prima mostra evidenti cedimenti anche se la prospettiva sembrerebbe orientata quantomeno verso un assestamento. Sul fonte del prodotto da latte ovino, preoccupano particolarmente la crescita della produzione del Pecorino Romano (+24%) e il rallentamento delle esportazioni, (-14% in volume rispetto a febbraio 2019) fattori per i quali è difficile ipotizzare significative inversioni di rotta nei mesi successivi.
Il settore della carne avicola manifesta più di altri la volatilità dei mercati in situazioni critiche come quelle che si sono vissute. Il mercato dei polli nel corso delle ultime settimane ha registrato una domanda sensibilmente indebolita rispetto al primo periodo di lockdown, quando l’offerta, in alcune settimane, si era rivelata addirittura insufficiente a soddisfare l’accresciuta domanda.
Il mercato delle carni bovine è ancora caratterizzato da una domanda domestica cauta e selettiva che favorisce il vitellone e penalizza il vitello. Migliore, seppure su livelli non ancora soddisfacenti, l’interesse per i capi adulti, favoriti dalle graduali riaperture delle hamburgherie. Sul fronte dei prezzi, l’offerta eccedentaria rispetto alle ridotte richieste ha comportato un loro lieve ridimensionamento per tutte le categorie.
Il comparto suinicolo italiano in questa fase di emergenza da Covid19 sta evidenziando tutte le sue fragilità, sia da un punto di vista strutturale che organizzativo. Da marzo 2020 è esplosa la tendenza al ribasso di tutti i prezzi dei capi vivi, sia da allevamento che da macello, a causa del pressoché totale azzeramento del canale Horeca e del rallentamento del ritmo di lavorazione degli impianti di macellazione e dell’industria.
Nel settore vino, la ripartenza delle attività del canale Horeca, viste le molte restrizioni, non è stata ancora in grado di restituire dinamicità alla domanda nelle prime fasi della filiera, in quanto le cantine di molti esercizi commerciali erano già ben fornite e non c’è stato bisogno di affrettare nuovi ordini, soprattutto in considerazione dei dubbi sull’intensità di recupero delle vendite. Con il mese di maggio, peraltro, anche la GDO ha frenato le richieste, anche se fanno ben sperare i dati che evidenziano come il segmento dei vini sia tra quelli che hanno fatto registrare i più alti tassi d’incremento delle vendite.
Nel settore dell’olio, alla maggior domanda per il consumo domestico si aggiunge un export piuttosto dinamico nei primi mesi dell’anno, che tende a mitigare le perdite dovute al fermo dell’Horeca. Tuttavia, se si analizzano solo le aziende specializzate nella vendita diretta o al canale Horeca, i danni economici risultano importanti. Da non trascurare le perdite dovute all’azzeramento dei flussi turistici che in molti casi toccano le realtà produttive piccole in termini di volumi, ma di gran valore soprattutto per i contesti paesaggistici dove sono inserite e che, come altre realtà, aspettano la riapertura e il ritorno del turismo enogastronomico.
Nel settore dei cereali, dopo la rivalutazione dei listini registrata tra marzo e aprile in conseguenza della apparente riduzione della disponibilità di materia prima, dovuto al blocco delle importazioni, il mercato della granella dei principali cereali ha evidenziato durante il mese di maggio alcuni cedimenti di prezzo sulle principali piazze monitorate, sia riguardo il prodotto nazionale che quello importato. Le ultime stime sul frumento duro indicano una lieve ripresa della produzione mondiale nel 2020 (+1,6% sul 2019 a 34,1 milioni di tonnellate), dopo il forte calo dello scorso anno (-9,3% sul 2018); così come per il frumento tenero le stime per il 2020 indicano un’ulteriore crescita annua dello 0,6%.