Non è positivo il bilancio della campagna di commercializzazione dell’uva da tavola in Italia. Nonostante un ottimo profilo qualitativo della produzione, grazie al clima secco che ha contenuto le principali avversità, la risposta del mercato è stata piuttosto fiacca, a causa principalmente dall’andamento stagnante dei consumi, sia in Italia che negli altri Paesi comunitari dove è destinata una buona parte del prodotto nazionale.
Secondo il report di Ismea tendenze, le prime battute della campagna 2022 sono state contraddistinte dal ritardo della maturazione dei grappoli e quindi, in questa fase, l’interesse della domanda ha premiato le produzioni precoci di origine estera come l’uva proveniente dall’Egitto. L’attività di compravendita è poi proceduta a rilento e i prezzi all’origine del prodotto italiano si sono attestati su livelli nettamente inferiori a quelli della campagna 2021 e più bassi anche rispetto al prezzo medio delle campagne 2018-2020. Nelle settimane successive, l’aumento dei quantitativi offerti e l’elevata pressione competitiva sui principali mercati di sbocco europei da parte degli altri produttori mediterranei (Spagna, Grecia e Turchia) hanno determinato un ulteriore rallentamento delle vendite e la progressiva riduzione delle quotazioni all’origine.
I cali osservati da Ismea hanno riguardato le principali varietà sulle più importanti piazze di contrattazione. Per l’uva Vittoria sui mercati della Sicilia e della Puglia ci sono stati nei mesi di giugno, luglio e agosto cali anche doppia cifra sia rispetto al 2021 sia rispetto al dato medio del triennio 2018-2020. Nel mese di settembre, le uve Italia, Red globe e Crimson Seedless hanno registrato quotazioni superiori al 2021, ma comunque in calo rispetto al prezzo medio del periodo 2018-2020. La situazione, già non rosea per le uve Vittoria e per le prime varietà apirene, è peggiorata con il progredire della campagna e le quotazioni delle varietà Italia, Red globe e Crimson Seedless scontano pesanti flessioni sia rispetto al 2021 sia rispetto alla media del triennio. Chiudono il quadro le uve della Basilicata i cui prezzi sono in flessione del 10% circa su base annua, ma recuperano nettamente rispetto al prezzo medio del periodo 2018-2020.
In termini di quantità, la produzione italiana risulta superiore alla media degli ultimi anni, in quanto l’andamento climatico favorevole ha sostenuto l’aumento della resa per ettaro in tutti i principali areali produttivi nazionali. Da evidenziare anche che negli ultimi anni, l’offerta italiana si è progressivamente arricchita di uve senza semi, le più richieste dal mercato, in relazione alle quali stanno aumentando sia il numero di varietà apirene coltivate, sia gli ettari in produzione, in sostituzione dei vecchi impianti.
Le vendite al dettaglio
Secondo le elaborazioni Ismea sul panel consumi Nielsen, gli acquisti delle famiglie di uve da tavola hanno evidenziato da gennaio ad agosto una riduzione dell’11% delle quantità accompagnata da una flessione meno accentuata della spesa (-3,2%), per effetto del rincaro di oltre l’8%.dei prezzi al dettaglio. Hanno tenuto meglio gli acquisti di prodotto confezionato, le cui vendite sono sostanzialmente in linea con i volume del 2021, pur in presenza di un importante incremento del prezzo medio ( +14%), che ha fatto lievitare la spesa del 13%.
Commercio con l’estero dell’Italia
Quanto al commercio con l’estero, fondamentale per un settore che indirizza una parte importante della sua produzione verso l’export, Ismea segnala un avvio della campagna di esportazione 2022 piuttosto in sordina, a causa del lieve ritardo di maturazione. I dati relativi ai primi sei mesi dell’anno evidenziano un netto calo dei quantitativi esportati (-14%), a cui si accompagna una riduzione ancora più marcata degli incassi, per effetto di una flessione dei prezzi del 5%. a mentre i prezzi all’export sono scesi del 5% rispetto al primo semestre 2021. In questo primo scorcio della campagna 2022 si registra la battuta d’arresto delle spedizioni verso la Germania (-23% in volume su base annua) e Polonia (-42%), solo parzialmente compensate dall’incremento delle forniture alla Francia (+21%). Il confronto coi dati medi del triennio 2018-2020 non cambia di molto lo scenario, infatti, nel primo semestre del 2022, la riduzione delle spedizioni è stata del 14% mentre quella degli introiti è del 10%, a fronte di costi di produzione e distribuzione in forte aumento. Sul fronte delle importazioni, nel primo semestre del 2021, sono diminuite del 10% rispetto all’anno precedente, anche a causa dello scarso interesse nei mesi invernali. In maggio e giugno, invece, il ritardo di qualche settimana del processo di maturazione delle primizie italiane ha determinato un forte interesse per le uve estere. In generale, in questa fase dell’anno le importazioni riguardano il prodotto di contro stagione, proveniente dall’emisfero australe (per lo più dal Perù o triangolato dai Paesi Bassi) e le primizie che aprono la campagna del nostro emisfero, provenienti per lo più dall’Egitto. Il prezzo medio del prodotto importato ha registrato un lieve incremento (+2%) su base annua, anche se rispetto al dato medio del triennio 2018-2020 si registra un incremento del 7%. Nel primo semestre, i Paesi Bassi si confermano il primo fornitore dell’Italia con circa 6.700 tonnellate (+22% su base annua).
Considerazioni finali
Le prospettive per il prosieguo della campagna 2022 delle uve italiane appaiono tutt’altro che rosee. Il contesto macroeconomico caratterizzato dalla crisi energetica e la preoccupazione delle famiglie europee per i mesi a venire si riflettono in una contrazione generalizzata degli acquisti di prodotti alimentari per il consumo domestico e le uve purtroppo non sfuggono a questa dinamica negativa. Ad aggravare il quadro concorre l’aumento dei costi di produzione sia in campo, per il rincaro dei concimi e delle materie prime energetiche, sia in post raccolta a causa del rincaro dei materiali di confezionamento e della bolletta dell’energia elettrica. Inutile sottolineare come queste dinamiche contribuiscono ad aumentare anche i costi per il trasporto e la distribuzione dei prodotti alimentari. Sul versante dei Paesi d’oltremare persistono le difficoltà legate all’aumento dei costi dei noli per il trasporto marittimo, cui si aggiunge la debolezza dell’euro rispetto al dollaro USA che da un lato rende più competitive le esportazioni del prodotto europeo, ma dall’altro lato rende ancora più onerosi i costi di trasporto.