Via libera al decreto interministeriale che rende obbligatoria l’indicazione dell’origine delle carni suine nei prodotti trasformati come prosciutti e salumi. Il provvedimento è stato sottoscritto il 21 luglio dai Ministri Bellanova, Patuanelli e Speranza, in occasione dell’ Assemblea dei Presidenti Coldiretti, trascorsi i 3 mesi per l’autorizzazione da parte della Commissione europea.
Dopo la passata di pomodoro, la pasta, il riso e il latte anche per le carni suine trasformate vigerà dunque l’obbligo della trasparenza in etichetta sia dell’origine della materia prima sia del luogo di trasformazione. La norma prevede che i produttori indichino in maniera leggibile sulle etichette le seguenti informazioni: – “Paese di nascita: (nome del paese di nascita degli animali); – “Paese di allevamento: (nome del paese di allevamento degli animali); – “Paese di macellazione: (nome del paese in cui sono stati macellati gli animali). Quando la carne proviene da suini nati, allevati e macellati nello stesso paese, l’indicazione dell’origine può apparire nella forma: “Origine: (nome del paese)”. La dicitura “100% italiano” è utilizzabile quindi solo quando la carne è proveniente da suini nati, allevati, macellati e trasformati in Italia.
Il provvedimento, fortemente voluto dalle rappresentanze agricole, per tutelare i veri prodotti della norcineria italiana nei confronti dei tanti salumi spacciati per italiani ma provenienti da capi allevati all’estero, è stato commentato con entusiasmo dai Ministri Bellanova e Patuanelli. Secondo la Bellanova l’Italia si conferma all’avanguardia in Europa nella battaglia per l’estensione su tutti gli alimenti dell’indicazione obbligatoria dell’origine, anche in coerenza con i principi della strategia Farm to Fork, uno dei due pilastri agricoli del New Green Deal. Un passo importante per valorizzare le produzioni 100% italiane.
Secondo alcune stime , sarebbero infatti 56 milioni le cosce che ogni anno dall’estero si riversano sul mercato italiano, con il risultato che tre prosciutti su quattro sono in realtà ottenuti da carne straniera senza che questo venga esplicitato in etichetta.
La vicenda dell’etichettatura degli alimenti, un rapido excursus
L’obbligo dell’indicazione dell’origine sull’etichetta per i salumi, è l’ultimo tassello di un lungo contenzioso con l’Ue, dove gli interessi in gioco sono molti e altrettanto numerose le fazioni in campo. In quest’ambito va anche ricordata l’annosa questione sull’ etichetta a semaforo/ nutriscore, in uso già in molti Paesi Ue, che penalizza con il bollino rosso molti degli alimenti della dieta mediterranea, come l’extravergine di oliva, per il semplice fatto essere ad alto contenuti lipidico.
Tornando alla questione dell’indicazione dell’origine, in Italia al momento vige l’obbligo di indicare in etichetta sulle confezioni di alimenti come pasta, riso, latte e passata di pomodoro, la provenienza della materia prima utilizzata e il luogo di trasformazione. Il consumatore può così sapere se un cibo è realmente fatto in Italia, a partire da materia prima coltivata e trasformata nel nostro Paese.
Questa possibilità era prevista nel Regolamento comunitario 1169 del 2011 che concedeva di fatto agli Stati membri dell’Ue di ampliare i dettagli riportati in etichetta. Grazie ai decreti Origine, varati durante le legislature precedenti, l’obbligo di indicare la provenienza è diventato attuativo. Ma questa, va ricordato, era una possibilità concessa in via sperimentale solo fino al 31 marzo 2020. Dal 1° aprile infatti è entrato in vigore un altro Regolamento che disciplina la materia a livello comunitario, il 775/2018 che invece prevede solo ed esclusivamente in alcuni casi l’obbligo di indicare la provenienza della materia prima in etichetta. In pratica l’obbligo scatterebbe solo quando ci sia il rischio che il consumatore si possa confondere sulla provenienza di un alimento in presenza di diciture, richiami, evocazioni, illustrazioni, simboli o termini sulla confezione che si riferiscono a luoghi geografici differenti dalla reale provenienza dell’ingrediente primario. Quindi un clamoroso passo indietro rispetto alla possibilità di rendere sempre esplicita l’indicazione di tutti i passagi lungo l’intera filiera, così come fortemente voluto dall’Italia.
Nel frattempo Paesi come la Francia e l’Italia si sono attrezzati chiedendo una proroga dei loro decreti sull’etichettatura. Proroga che nel caso dell’Italia, è stata concessa fino al 31/12/2021. La battaglia sembrerebbe quindi ancora lungi dall’essere terminata. E se da una parte il provvedimento appena varato tutela gli interessi degli imprenditori agricoli, dall’altra scontenta una parte dell’industria alimentare, che dato lo strutturale deficit di materia prima in Italia, si approvvigiona all’estero acquistando animali vivi o carni già macellate.
Infografica CreemLab per Ettore Fieramosca
Ma quanto vale il mercato dell’italianità
Secondo l’Osservatorio Immagino di Nielsen GS1 Italy, il paniere dei prodotti che nel 2019 riportavano sull’etichetta un’indicazione riferita alla loro italianità ha girato la boa delle 20 mila referenze presenti sugli scaffali di supermercati e ipermercati. Un risultato che si accompagna a un altro record: il superamento dei 7,4 miliardi di euro di sell-out, grazie al miglioramento del trend delle vendite su base annua. Se il 2018 si era chiuso con un giro d’affari in crescita del +1,9%, nei 12 mesi successivi l’aumento è stato del +2,1%. In termini assoluti, i prodotti che richiamavano on pack la loro italianità ha generato il 25,2% dei ricavi del totale alimentare, confermandosi come il più significativo e pervasivo tra i fenomeni monitorati.
Che si tratti della bandiera nazionale, dei claim “prodotto in Italia” o “100% italiano”, oppure di una delle indicazioni geografiche europee (come le Dop, Igp), il messaggio resta comunque lo stesso: l’orgoglio della matrice “tricolore”, il rimando a un know-how sedimentato nei secoli, la promessa di un’esperienza organolettica all’altezza della nostra fama di patria della buona cucina e anche le maggiori garanzie di sicurezza e salubrità che l’agroalimentare italiano offre. A incidere sul fenomeno, rileva giustamente l’Osservatorio Immagino di Nielsen, anche l’entrata in vigore delle nuove norme nazionali appena descritte, che hanno interessato negli anni un numero sempre crescente di referenze: dalle carni avicole, suine e bovine, frutta e verdura fresche, uova, miele, olio extravergine di oliva, pesce e prodotti ittici, originariamente coinvolte dalla normativa, al latte e prodotti lattiero-caseari, riso, pasta di grano duro, conserve di pomodoro fino ad arrivare al via libera appena ottenuto per i salumi.