L’Ocse lo definisce il terzo e più grave shock economico, finanziario e sociale del 21 ° secolo che sta spingendo le nostre economie in uno stato di “congelamento profondo” senza precedenti. Anche in Italia si susseguono, in queste settimane, differenti simulazioni dei possibili impatti economici di questa emergenza. Secondo il Cerved sarebbe a rischio di fallimento un’azienda italiana su 10, mentre a pagare il prezzo più alto sarebbero soprattutto il settore turistico, dei trasporti e dell’automotive, a fronte di una piena tenuta di quello agricolo. Saranno davvero in grado, l’agricoltura e l’agroalimentare, di sfoderare ancora una volta le loro doti anticicliche e di resilienza?
Secondo l’OCSE l’attuale pandemia che stiamo vivendo porta con sé il terzo e più grande shock economico, finanziario e sociale del 21 ° secolo, dopo l’11 settembre e la crisi finanziaria globale del 2008. Uno shock che porta con sé un doppio colpo: l’ arresto della produzione nei paesi colpiti, colpendo le catene di approvvigionamento in tutto il mondo e un forte calo dei consumi insieme a un crollo della fiducia. Misure rigorose applicate, sebbene essenziali per contenere il virus, stanno spingendo le nostre economie in uno stato di “congelamento profondo” senza precedenti, che incideranno sulla crescita globale ben oltre gli scenari, seppure severi, ipotizzati agli esordi dell’epidemia.
Che l’emergenza del Coronavirs sia destinata a lasciare profonde ferite nei sistemi socio-economici nazionali e globali è ormai assodato, quello che rimane da capire è l’entità di tale impatto e quanto a lungo potrà essere sostenibile il lockdown che molti Paesi stanno progressivamente adottando in risposta all’espansione del contagio.
Lo studio del Cerved Rating Agency sulle performance economico finanziarie delle aziende italiane
All’inizio del propagarsi dell’epidemia in Italia e prima ancora che venisse dichiarata dall’Oms la Stato di pandemia globale il Cerved Rating Agency aveva effettuato delle simulazioni di impatto sulle performance economico-finanziarie delle aziende, arrivando a formulare un duplice scenario: uno più favorevole, assumendo come condizione di partenza una rapido contenimento dell’epidemia e la fine dell’emergenza entro la metà del 2020 e uno scenario più severo di pandemia globale, con effetti duraturi fino a fine anno.
Entrambi gli scenari sono stati applicati al portafoglio di simulazione, costituito da circa 25.000 rating emessi recentemente da Cerved Rating Agency e sufficientemente rappresentativo del comparto delle aziende italiane. Lo studio indica un peggioramento generalizzato delle performance economico – finanziarie delle imprese, in termini di capitale circolante netto e aumento dei debiti finanziari, che porterebbero a un graduale popolamento, con intensità diverse a secondo dello scenario, delle classi più rischiose con conseguente aumento della probabilità media di default.
Rispetto alla probabilità di default medio pari a 4.9% nella situazione di partenza, si salirebbe, nell’ipotesi soft, al 6.8% (con variazione per settore tra il 2.7% e il 10.6%), mentre nello scenario hard la probabilità di default media arriva al 10.4%, con variazione per settore tra il 7.5% e del 15.4%. In sostanza sottolinea il Cerved se la situazione dovesse persistere anche nella seconda metà dell’anno sarebbe a rischio fallimento un’azienda su 10, numero destinato a salire nei settori maggiormente esposti alla crisi.
Industry a confronto: chi sarà a pagare il prezzo più alto della crisi
Un focus sulle principali filiere produttive arriva sempre dal Cerved (questa volta a cura della divisione Industry Forecast) che ha fornito a marzo un aggiornamento in termini macroeconomici dello studio, fornendo per i due scenari sopra descritti una stima della contrazione dei fatturati per settore e regione.
Secondo questo aggiornamento a pagare il prezzo più alto sarebbero il settore del turismo, dell’automotive e dei servizi di cura della persona mentre ne uscirebbero avvantaggiati l’e-commerce, la grande distribuzione organizzata e il settore farmaceutico e delle apparecchiature medicali.
Più nel dettaglio secondo lo scenario soft, le imprese italiane perderebbero il 7,4% dei propri ricavi nel 2020 (circa 220 miliardi di euro) per poi registrare un rimbalzo (+9,6%) l’anno successivo che riporterebbe i fatturati oltre i livelli del 2019. Dal punto di vista geografico quasi la metà della flessione dei fatturati sarebbe concentrata tra le aziende situate in Lombardia (-62 miliardi) e nel Lazio (-47 miliardi), seguite da Piemonte (-20,3 miliardi) Veneto ed Emilia Romagna (entrambe -19,7), Toscana (-11,6 miliardi), Campania (-8,2 miliardi) e poi le altre. Con riferimento ai settori, lo studio stima le perdite più ingenti a carico delle aziende del settore turistico (in particolare alberghi, agenzie di viaggio, tour operator, strutture ricettive extra-alberghiere, trasporti aerei e organizzazione di eventi) e nell’automobilistico (soprattutto produzione di rimorchi e allestimento di veicoli, e concessionari auto), che vedrebbero una riduzione dei ricavi tra il 20% e il 30%. In controtendenza sarebbero invece il commercio online, la grande distribuzione alimentare e il settore farmaceutico e degli apparecchi medicali, con una crescita a due cifre dei relativi fatturati.
Nello scenario hard, a causa del protrarsi dell’emergenza fino a fine anno, la lenta ripresa nel 2021 non sarebbe sufficiente a recuperare i livelli del 2019. La flessione degli introiti nel 2020 per le imprese è calcolata a -17,8%, equivalente ad una perdita di 470 miliardi, che non sarebbe compensata dalla crescita del 2021.
Ad essere maggiormente colpiti sarebbero sempre il turismo e l’automotive, ma con impatti molto più drammatici. La contrazione dei fatturati è stimata attorno al 73% per gli alberghi, di oltre il 60% per le agenzie di viaggi e le strutture extra-alberghiere e tra 45% e il 55% per l’automotive. Allo stesso modo, i settori in questa fase anticiclici – in particolare ancora e-commerce, Gdo alimentare, farmaceutica e apparecchi medicali – prevedono risultati ancora più positivi rispetto allo scenario soft, con il commercio elettronico che addirittura potrebbe aumentare di un +55% il suo giro d’affari.
Nell’analisi territoriale, nessuna regione sarebbe in grado di recuperare nel 2021 i livelli di fatturato pre – epidemia. Entrambi gli scenari hanno previsto come assumption di fondo un forte intervento pubblico di sostegno a imprese e famiglie e la tenuta dei mercati finanziari.
Quale l’impatto per l’agricoltura e l’agroalimentare italiano?
Secondo il modello previsionale del Cerved, l’agricoltura non risulterebbe particolarmente penalizzata in nessuno dei due scenari ipotizzati. In entrambi i casi infatti il fatturato delle aziende agricole viene indicato in lieve crescita (circa un punto percentuale) nell’anno in corso rispetto al 2019, un incremento destinato poi a ridursi leggermente nel 2021. È chiaro che l’agricoltura, al pari dell’industria alimentare, è uno dei settori anticiclici e difensivi per eccellenza, in grado di reggere meglio l’urto della crisi grazie a una domanda scarsamente comprimibile. Tuttavia non sono pochi i comparti che versano attualmente in una situazione di forte difficoltà a causa del combinato disposto di più fattori: la chiusura pressoché totale del canale Horeca, l’azzeramento dei flussi turistici, il forte rallentamento del commercio con l’estero e la riduzione degli acquisti di fresco, dovuta sia alla chiusura di molti mercati sia alla tendenza del consumatore di preferire in questo frangente le referenze confezionate. A questo scenario vanno ad aggiungersi anche i pesanti interrogativi legati al reperimento di manodopera stagionale e occasionale, costituita in maggioranza da forza lavoro proveniente dall’estero, mentre si approssima per molte produzioni il periodo delle raccolta, che rischia di avere ripercussioni importanti anche nel medio e lungo periodo.
Tra i settori agricoli, i più colpiti sono senz’altro quello florovivaistico, penalizzato nel periodo di massimo slancio produttivo e commerciale dalla chiusura dei punti vendita e dalla sospensione di ogni cerimonia e celebrazione. Il rischio, legato anche all’elevata deperibilità in particolare delle specie floricole è di perdere completamente la stagione primaverile, che – come denunciano le organizzazioni di categoria – è quella in cui si concentra circa il 60% dei ricavi. Al collasso sarebbe anche la zootecnia da latte in un contesto caratterizzato da un’eccedenza produttiva che non riesce ad essere assorbita dal mercato a causa sia della chiusura dei bar, sia della riduzione degli acquisti di latte fresco nei canali della Gdo, a favore di prodotti maggiormente conservabili e stoccabili come il latte a lunga conservazione.
Anche l’intera filiera del vino sta chiedendo al Governo interventi straordinari per mitigare gli effetti dell’emergenza sanitaria che sta determinando una forte contrazione dei consumi a causa della chiusura dei pubblici esercizi e del forte rallentamento delle esportazioni. Dopo tanti anni di crescita dell’export, l’ultimo il dato del 2019 (6,4 miliardi di euro, +3,2% sul 2018), si va ormai affermando tra gli operatori la certezza che il 2020 chiuderà con un segno negativo con le attese per molte cantine di riduzioni del fatturato anche del 70%.