Mentre il Made in Italy agroalimentare avanza nel mondo, il fenomeno dell’Italian sounding ha raggiunto la cifra record di 100 miliardi di Euro, pari a due e volte e mezzo il valore del nostro export di cibi e bevande. In Asia, secondo una recente indagine delle Camere di commercio italiane all’estero sono oltre 600 i prodotti che richiamano nel loro packaging l’italianità, senza avere alcun legame di tipo produttivo con la penisola.
Le esportazioni di alimenti e bevande del made in Italy hanno quasi duplicato il loro valore nell’ultimo decennio, arrivando a rappresentare circa un quarto del fatturato del settore: 40 miliardi di euro sui 140 generati complessivamente dalla filiera.
Un successo favorito dall’immagine di eccellenza e qualità di cui godono all’estero i nostri prodotti e grazie al mix irripetibile tra la qualità della materia prima e il consolidato know how dell’industria di trasformazione.
I dati del commercio con l’estero ci dicono che quello del Food and Beverage è l’unico settore produttivo che nella sua globalità ha registrato degli spunti di crescita anche nel 2020, nonostante le forti limitazioni alle occasioni di consumo fori casa, a seguito delle misure necessarie per contenere l’emergenza epidemiologica in atto.
Mentre l’export totale italiano arretra del 11,6% nei primi 9 mesi del 2020, l’agroalimentare avanza del 2,8%, grazie soprattutto alle spedizioni verso la Germania (+6,7%), la Francia (+3,6%) e gli Usa (+3,1%).
I prodotti alimentari italiani non sono solo tra i più apprezzati al mondo ma anche tra i più copiati, imitati e contraffatti. Ogni anno la contraffazione genera perdite pari a 15 miliardi di euro nelle entrate deibilanci dei governi UE. Secondo la Coldiretti il fenomeno dell’Italian sounding, ossia l’uso di frasi immagini e simboli per evocare l’italianità insieme ai casi di veri e propri falsi made in Italy hanno raggiunto la cifra record di 100 miliardi di euro, complice nell’ultimo periodo, anche la frenata del commercio internazionale, le imposizioni tariffarie decise da Trump e prima ancora l’embargo russo per una serie importante di beni, che ha favorito la produzione di imitazioni locali.
Al fine di monitorare più da vicino il fenomeno mappando i casi di Italian sounding in diverse aree del globo sono state condotte delle indagini realizzate da Assocamerestero nell’ambito del Progetto True Italian Taste, promosso e finanziato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e della Campagna di promozione del cibo 100% Made in Italy. L’ultima di queste indagini ha riguardato i Paesi asiatici Asia.
La mappatura dei prodotti Italian Sounding in Asia
L’ indagine condotta in collaborazione con le Camere di Commercio Italiane all’Estero (CCIE) presenti in Cina, Corea del Sud, Giappone, India, Singapore, Thailandia e Vietnam ha rilevato oltre 600 referenze che richiamano attraverso, immagini, simboli o nomi a prodotti, territori e ricette tipicamente italiane, senza avere nessun legame con la penisola.
Le categorie di prodotto maggiormente colpite dal fenomeno dall’Italian Sounding individuate dalle 8 strutture camerali sono: i prodotti lattiero-caseari, la pasta, i prodotti da forno (snacks, dolci); prodotti a base di carne, condimenti (sughi, aceto, olio), surgelati e piatti pronti e bevande (caffè, drinks, vino).
Più nel dettaglio salse, sughi, olio e aceto con una quota del 26,8% del totale dei prodotti mappati rappresentano la categoria che più spesso fa riferimento al made in Italy. Seguono i surgelati e piatti pronti (19,6%), la pasta (19,1%) e i prodotti lattiero caseari (17,5%).
Analizzando i singoli mercati, i condimenti evocativi dell’italianità presentano un livello di diffusione superiore alla media in Corea del Sud ( 43,4%), in Cina (31%) ma soprattutto in India, dove costituiscono oltre la metà dei prodotti di imitazione presenti nel mercato.
A Singapore è la pasta il prodotto “Italian Sounding” più diffuso (38,6%), seguita dai latticini (34,1%), che ricoprono quote rilevanti anche in Thailandia (42,3%) e a Hong Kong (24,5%). La categoria dei surgelati e dei piatti pronti (soprattutto pasta e pizza surgelati) rappresenta circa un terzo del food Italian Sounding in Cina, e il 23,3% in Vietnam.
In tutte le categorie di prodotti imitativi più diffusi nei mercati in esame si registra mediamente un abbattimento dei costi rispetto ai corrispondenti prodotti autentici, che variano da un massimo del 30,7% per la pasta ai -6,9% per i latticini.
Quanto vale l’export di italian food in Asia
Le esportazioni di prodotti del food italiano hanno raggiunto nel 2019 un valore di 4,5 miliardi di euro, in aumento del 23,4% su base annua. Ai Paesi di quest’Area è destinato il 30,6% dell’export agroalimentare in ambito Extra-UE e il 12% delle vendite globali del comparto. Nello specifico, oltre il 40% delle vendite sul mercato asiatico interessa il Giappone, verso cui si registra anche il più elevato ritmo di crescita (+66,5% rispetto al 2018), seguito a grande distanza dalla Cina (9,2%) e dalla Corea del Sud (5,9%). Buone performance di crescita si riscontrano anche a Singapore (+10,4%) e in Vietnam (+9,5%), sebbene a ritmi meno sostenuti. In un anno il surplus commerciale verso l’Area asiatica è aumentato di circa 758 milioni di euro, attestandosi su un valore di 2,3 miliardi di euro nel 2019. Tra i prodotti maggiormente esportati sul mercato asiatico nel 2019, troviamo il tabacco, con una quota del 22,8% sull’export del settore, seguito dai pasti e piatti pronti, condimenti, caffè, etc. (18,9%) e dalle bevande (14,9%).