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Il ciclo immobiliare agricolo e le conseguenze della pandemia

30 Dicembre 2020

Nonostante sia tra i settori meno colpiti dalla crisi generata dalla pandemia da COVID-19, l’agroalimentare italiano in generale ed alcuni suoi settori in modo particolare, rischiano di pagare un prezzo molto alto in termini quantitativi ed economici. Oltre agli impatti legati alla flessione della domanda, occorre interrogarsi anche sulle conseguenze della prolungata emergenza sul mercato immobiliare.

Autore: Angelo Donato Berloco senior advisor Ettore Fieramosca

Nel corso del 2020 stiamo assistendo ad un lento ma inesorabile passaggio da una emergenza sanitaria ad una vera e propria emergenza sociale, in quanto la pandemia sta facendo sentire i suoi effetti negativi anche in ambito economico, con settori che hanno accusato maggiormente le conseguenze negative per la comparsa del virus ed altri che invece mostrano una maggiore resilienza.

In questo scenario in continua evoluzione, anche i vari segmenti del settore immobiliare stanno registrando cambiamenti profondi rispetto al periodo pre-pandemia, con un impatto significativo su tutte le asset class, tanto in ambito urbano quanto in quello agricolo, seppur in modo differenziato tra loro.

Se ci soffermiamo all’ambito agricolo emerge innanzitutto che il COVID-19 evidenzierà limiti ed opportunità di alcuni segmenti di mercato rispetto ad altri. Infatti analizzando i dati presentati da EttoreFieramosca in vari articoli che si sono occupati della pandemia e delle sue ripercussioni sulla filiera agricole ed agroalimentare leggi ad esempio l’articolo del 30 giugno 2020, emerge che a fronte di un +2,5% del fatturato nel settore ortofrutta, si prevedono gravi difficoltà in altri settori come ad esempio per il florovivaismo (per l’azzeramento ad esempio di cerimonie ed eventi).

Sono previste anche gravi difficoltà in altri settori produttivi a causa della chiusura del canale Horeca – hotel, ristoranti, catering – dove la maggiore incidenza si avrà per il vino; inoltre è prevista una forte riduzione dei flussi turistici dall’estero, un rallentamento del commercio con l’estero e una riduzione degli acquisti di fresco, per cui vari segmenti andranno in sofferenza per la caduta della domanda. Sicuramente in forte incremento di fatturato risulterà invece il settore Food & Grocery online: nel 2020 raggiungerà in Italia un valore pari a 2,5 miliardi di Euro, con un incremento del 55% ossia di un miliardo di euro in valore assoluto, rispetto al 2019.

In definitiva, nonostante sia tra i settori meno colpiti dalla crisi indotta dalla pandemia, l’agroalimentare italiano rischia di chiudere complessivamente il 2020 con una perdita nei consumi finali di circa 24 miliardi di euro (dati forniti dall’Ismea nel Rapporto relativo all’ impatto dell’emergenza Covid -19 sul settore agricolo e alimentare).

Analisi del ciclo immobiliare

Con il persistere della pandemia da COVID-19 dobbiamo interrogarci su quali potrebbero essere gli impatti sui valori immobiliari: il numero delle compravendite scenderà e di quanto, i prezzi mostreranno una tendenza ribassista già nel 2020, nel 2021 assisteremo ad una stabilizzazione e magari ad una ripresa dei vari mercati immobiliari?

Sicuramente quello che accadrà non sarà uguale per tutti i segmenti di mercato, per tutte le localizzazioni, per tutte le tipologie immobiliari, tanto in ambito urbano quanto in quello agricolo.

Mano a mano che gli effetti economici e sociali del Covid-19 si manifesteranno, molto probabilmente cambierà anche l’approccio di acquirenti e venditori nei confronti dei vari asset immobiliari (residenziale, commerciale, uffici, produttivo, agricolo, ecc.). Ne consegue che, di fatto, l’impatto della pandemia sul settore immobiliare italiano (urbano ed agricolo) è ancora tutto da scrivere.

In tale contesto “in movimento” avere un quadro di riferimento storico può essere utile per analizzare lo stato di salute di uno specifico segmento di mercato; per questo motivo partiamo dalla individuazione della fase in cui tale mercato si trova oggi rispetto allo specifico ciclo immobiliare.

La rappresentazione di tale ciclo immobiliare può essere svolta attraverso vari strumenti grafici (grafico del ciclo a nido d’ape, grafico con curva prezzo/tempo, grafico con curva numero di transazioni/tempo, ecc.). Comunque tutti gli strumenti di analisi ci riportano ad una ben determinata sequenza di fasi: 1. Espansione, 2. Contrazione, 3. Recessione, 4. Recupero.

Figura 1 – Schema teorico per l’analisi dei cicli immobiliari

Fonte: Marco Simonotti – Valutazione Immobiliare Standard | NUOVI METODI, ed. Stimatrix

Riportando in ascissa il tempo ed in ordinata il numero oppure il prezzo delle compravendite, quello che varierà sarà l’ampiezza temporale delle fasi o i picchi in alto e in basso della variabile considerata (numero di transazioni o prezzo) ma non varierà la sequenza delle 4 fasi sopra richiamate. Interessante appare poi l’analisi del trend che la curva assume nel tempo (rialzo o ribasso) e questo viene rappresentato dal valore medio assunto negli anni dalla variabile esplicativa esaminata.

Di seguito si riporta in esempio del ciclo immobiliare in ambito urbano, in particolare si tratta del ciclo urbano del settore residenziale italiano negli ultimi 50 anni.

 

Figura 2 – Le fasi del settore residenziale italiano negli ultimi 50 anni

Fonte: elaborazione EFR su dati Agenzia delle Entrate – OMI

In generale si osserva che le fasi stanno ampliando nel tempo la loro durata e presentano picchi, in alto e in basso, sempre più marcati. Inoltre, a titolo puramente indicativo, sono evidenziati nel grafico i principali punti di svolta dalla fase espansiva a quella di contrazione (ovvero il cambio di segno da positivo a negativo). Si noti che tali svolte sono risultate connesse ad alcuni eventi di rilievo mondiale, ed in particolare: a) crisi petrolifera del 1974 (e relativo periodo di blocco alla circolazione); b) recessione economica del 1980 (e conseguenze delle politiche economiche di Reagan e Thatcher); c) prima guerra del Golfo del 1990 (con conseguente crisi economica); d) crisi finanziaria del 2008 (fase particolare perché nata proprio a seguito dello scoppio della bolla immobiliare USA e poi dilagata in tutto il mondo, trasformandosi in una profonda crisi economica e finanziaria globale, mentre in precedenza erano state le crisi nate negli altri ambiti economici a portare le loro conseguenze negative nell’ambito immobiliare).

Evoluzione dei valori immobiliari in ambito agricolo

 Per quanto riguarda l’analisi del mercato immobiliare agricolo occorre preliminarmente evidenziare che questo ambito è caratterizzato da un problema di disponibilità e coerenza dei dati immobiliari. Infatti, mentre in ambito urbano si possono consultare varie banche dati che supportano le analisi di contesto e dei vari segmenti di mercato (OMI-Agenzia delle Entrate, Banca d’Italia, Notariato, Scenari Immobiliari, Nomisma, ecc.), in ambito agricolo ci sono poche fonti informative in grado di fornire serie storiche valide per l’analisi del segmento terreni.

Come se non bastasse, tra le poche fonti a disposizione emergono sostanziali discrepanze nei valori rappresentati, come ampiamente argomentato con un interessante paper del 2019 di Andrea Povellato ed altri autori (titolo del report: Making sense of multiple sources of land value statistics: an explorative analysis for Italy). L’analisi di Povellato e degli altri autori si basa sulla stima dei valori dei terreni agricoli attraverso il confronto di due fonti ufficiali di informazione: i dati raccolti dal 1947 dal CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, ed in particolare dal Centro di Politiche e Bioeconomia) e l’indagine curata dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) per inviare i dati ad Eurostat.

L’indagine curata annualmente dal CREA è basata su specifici questionari raccolti a livello locale dalle Postazioni regionali del CREA e si conclude annualmente con il Rapporto regionale sul mercato fondiario. L’indagine ISTAT è basata invece su un protocollo adottato a livello europeo da Eurostat nel 2017 ed i dati di base fanno riferimento ai prezzi ufficiali registrati dalle compravendite.

Entrambe le metodologie presentano caratteristiche peculiari che fanno emergere distorsioni nella stima: in particolare, i valori dell’indagine CREA sono più stabili nel tempo mentre quelli rilevati dal 2018.dall’ISTAT sono molto più volatili e maggiormente soggetti anche a piccole fluttuazioni economiche Inevitabilmente le due metodologie di rilevazione, basate su due differenti fonti di dati, conducono a risultati sostanzialmente differenti per quanto attiene i valori fondiari, per cui non consentono di comprendere approfonditamente il mercato immobiliare dei terreni e di tener conto delle sue diversità territoriali, delle correlazioni con i fenomeni economici generali e con quelli più specificamente settoriali.

Considerato quindi che l’indagine del CREA ci consente almeno di avere un riferimento temporalmente più profondo, in questa occasione prenderemo in considerazione questa base dati come strumento di analisi del ciclo immobiliare agricolo negli ultimi 50 anni.

 Figura 3 – Prezzi medi del mercato fondiario italiano negli ultimi 50 anni

Fonte:  elaborazione EFR su dati CREA

Una prima riflessione che emerge abbastanza chiaramente dal grafico CREA sul mercato fondiario agricolo italiano è data dal fatto che qui non appaiono esplicative le motivazioni utilizzate in precedenza per il settore residenziale urbano.

Le peculiarità del mercato fondiario agricolo richiedono infatti altre chiavi interpretative per spiegare sul lungo periodo l’andamento della curva del prezzo. Da questo punto di vista appare più coerente guardare l’evoluzione del prezzo dei terreni in parallelo con l’evoluzione della Politica agricola comunitaria in quanto quest’ultima ha sicuramente contribuito a plasmare in maniera sostanziale l’agricoltura italiana negli ultimi decenni.

Per tratteggiare tale parallelo (PAC / prezzi dei terreni) si è fatto quindi riferimento ad una interessante e completa analisi condotta dal prof. Angelo Frascarelli dal titolo “L’evoluzione della Pac e le imprese agricole: sessant’anni di adattamento”.

Considerata l’evoluzione della PAC nei vari segmenti temporali individuati dal prof. Frascarelli e sovrapponendola al tracciato dei prezzi medi del settore fondiario agricolo rilevato dal CREA, a nostro avviso si possono a individuare i seguenti punti di svolta del mercato fondiario in Italia:

  1. Anni ‛60: la PAC pone la produttività al primo posto e di conseguenza i prezzi dei terreni crescono per effetto di una maggiore richiesta di terra oltre che per la spinta conseguente alle leggi in favore della proprietà coltivatrice emanate proprio per agevolare l’accesso alla proprietà fondiaria da parte degli agricoltori (L.590/65 e L 817/71).
  2. Anni ‛70: la PAC è vittima del suo successo e di conseguenza l’eccessivo aiuto sul prezzo dei prodotti agricoli porta ad una sempre maggiore ricerca di appezzamenti agricoli che, unita alla crescente inflazione in atto in quel periodo, fanno della terra un apprezzato bene rifugio sia per gli investitori professionali agricoli ma anche (e forse soprattutto) per gli investitori non agricoli.
  3. Anni ‛80: le prime riforme della PAC che prevedono un progressivo declino dell’aiuto comunitario portano ad un calo della redditività agricola e conseguentemente si sentono i primi effetti recessivi sul prezzo dei terreni.
  4. Anni ‛90: dal sostegno ai prezzi al sostegno al reddito – Riforma Mac Sharry; il disaccoppiamento degli aiuti determina una corsa all’acquisto di terra su cui “scaricare” i titoli e questo porta ad una maggiore richiesta di terreni e conseguentemente ad un aumento del suo prezzo medio.
  5. Agenda 2000 e riforma Fischler fanno percepire un cambio di passo nel sostegno all’agricoltura europea, con una diminuzione degli aiuti e di conseguenza ad una prima flessione nella richiesta di terra, con un riallineamento delle quotazioni rispetto alle effettive redditività dei terreni ed una maggiore divaricazione tra prezzi in pianura e prezzi in collina/montagna.
  6. La PAC 2014 – 2020 prosegue il progetto generale europeo per un minore sostegno medio all’agricoltura, a cui si aggiunge l’avversa congiuntura economica mondiale e la forte incertezza percepita dagli agricoltori sul futuro della PAC; tutti questi elementi portano per alcuni anni ad una sostanziale stasi dei prezzi dei terreni (seppure a livelli più sostenuti in Italia in confronto ai prezzi della terra riscontrati in altri Paesi dell’Unione Europea).

L’analisi qui riportata per il ciclo immobiliare dei terreni agricoli in Italia merita sicuramente un maggiore approfondimento, soprattutto in relazione alla differenziazione determinata dai molteplici fattori che caratterizzano tale segmento di mercato. Infatti, per avere un ulteriore dettaglio sulla variabilità dei prezzi medi nei vari ambiti agricoli, va anche considerata la consistente differenziazione registrata dal CREA (Indagine sul mercato fondiario in Italia – Rapporto regionale 2018) in relazione alla localizzazione per regione agraria (da meno di 10.000 €/ettaro a più di 100.000 €/ettaro).

 

Figura 4 – Valori fondiari medi per regione agraria

Fonte: CREA – Indagine sul mercato fondiario in Italia, Rapporto regionale 2018

Al fattore localizzazione si aggiungono poi tutta una serie di altri fattori intrinseci (ovvero le specificità tipologiche e tecniche terreno) ed estrinseci (ovvero i caratteri distintivi del segmento agricolo considerato), che portano il range di variabilità a livelli ancora più ampi.

In estrema sintesi tra i fattori intrinseci ricordiamo: riparto colturale aziendale; SAT, SAU e Tare; grado di fertilità dei terreni; dotazioni irrigue aziendali; consistenza e tipologia dei fabbricati aziendali; dotazione di impianti tecnologici; vetustà dei fabbricati e degli impianti arborei; sesto di impianto, cultivar e stato vegetativo degli impianti arborei; denominazioni di qualità (IGP, DOC, DOCG) e/o tipologie produttive (biologico, biodinamico); ecc.

Mentre tra i fattori estrinseci ci sono: indirizzo produttivo prevalente (es. nella contrada o nel distretto); collegamenti stradali e logistici; presenza o meno di criminalità; distanza dal paese e dai centri di trasformazione/commercializzazione dei prodotti; eventuale interesse artistico, storico, turistico; livello socio-economico della zona; livello di urbanizzazione ed eventuale processo in atto; presenza di consorzi di valorizzazione (IGP, DOC, DOCG); impatto della PAC; ecc.

Per apprezzare l’estrema variabilità delle quotazioni fondiarie italiane, si riporta di seguito un esempio nell’ambito delle superfici viticole italiane. Pur facendo riferimento a produzioni vitivinicole nominalmente tutte di qualità (DOC e DOCG), la differenziazione per area geografica e per denominazione porta ad un enorme differenziale in termini di valore fondiario (da 15.000 €/Ha a 1.500.000 €/Ha).

Tabella 1 – Quotazioni delle superfici a vite in Italia (in migliaia di € per ettaro – Dati CREA 2018)

Considerato il limitato set informativo attualmente disponibile in ambito fondiario, non è quindi agevole definire una mappatura puntuale dei singoli segmenti di mercato e di conseguenza è complicato provare a ragionare su cosa potrà accadere nel prossimo futuro come conseguenza della pandemia da COVID-19, in quanto gli effetti negativi si evidenzieranno e si differenzieranno in base alla maggiore o minore resilienza dei diversi ambiti produttivi.

Il Rapporto 2019 del CREA ha fatto emergere che negli ultimi anni il settore fondiario italiano ha mostrato un generale mantenimento delle quotazioni ed un transitorio arretramento nel numero di compravendite, con un differenziato effetto tra i vari segmenti produttivi. Per il 2020 si può quindi ipotizzare un ulteriore rallentamento nel numero di transazioni (soprattutto se il settore agricolo non verrà sostenuto dalle banche con un adeguato supporto creditizio) mentre sulle quotazioni quello che maggiormente farà sentire i suoi effetti, come già accaduto negli ultimi 50 anni, non saranno tanto o soltanto il COVID-19 quanto le decisioni che verranno prese a livello europeo rispetto alla nuova Politica agricola comunitaria e più in generale al  New Green Deal in via di definizione da parte della Commissione Europea per tracciare le linee di sviluppo da qui al 2030 e oltre.

In particolare, per quanto riguarda il settore agricolo si ricorda che a maggio 2020 la Commissione Europea ha pubblicato due strategie, Farm to Fork e Biodiversity, ambiziosi piani che mirano a trasformare l’Unione Europea in un’economia pulita e circolare, grazie ad una serie di interventi (e quindi di miliardi di euro messi a disposizione) che vogliono fare dell’Europa il primo continente a impatto zero.

Conseguentemente, sulla base delle percezioni degli operatori agricoli ed extragricoli rispetto alle diversificate ricadute delle nuove politiche comunitarie, dobbiamo aspettarci che si espliciteranno le differenti variazioni delle quotazioni fondiarie italiane.

Inoltre, per il mercato fondiario appaiono interessanti anche gli effetti che potrebbe avere un incremento della domanda di case in campagna da parte di operatori extragricoli, come conseguenza di una maggiore richiesta di spazi aperti a seguito della pandemia: si tratta di un mercato molto interessante ed economicamente importante in molte Regioni italiane (es. Toscana, Umbria, Puglia, ecc.).

Ovviamente per avere un quadro più dettagliato, zona per zona e per singola tipologia colturale, occorre una base dati più ampia ed articolata; auspichiamo quindi che il prossimo rapporto del CREA vada ad indagare in maniera specifica gli effetti che il COVID-19 avrà determinato nell’ambito fondiario agricolo, un asset fondamentale per il settore primario ma molto importante anche per l’intero sistema economico italiano.

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