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Allarme Dazi: a rischio oltre la metà del nostro export agroalimentare verso gli Stati Uniti

26 Gennaio 2020

Sfiora i 2 miliardi e mezzo il conto che l’agroalimentare italiano rischia di pagare per effetto della stretta sulle importazioni che l’amministrazione Usa ha voluto imporre ai Paesi Europei, come ritorsione della controversia dei cieli tra Airbus e Boeing.

A tre mesi dall’entrata in vigore, il 18 ottobre scorso, dei dazi aggiuntivi del 25% che hanno colpito, tra gli altri, anche alcuni importanti formaggi Italiani, salumi, e liquori, è giunta al termine il 13 gennaio scorso la procedura di consultazione avviata dal Dipartimento del Commercio (Ustr) degli Usa, che rischia di estendere l’imposizione tariffaria anche ad altri prodotti simbolo del made in Italy come i vini, gli oli di oliva e la pasta.

In particolare il mondo vitivinicolo italiano teme l’impatto devastante che può derivare dall’applicazione di tariffe sul mercato Usa pari anche al 100% del valore. In Francia già si contano i danni per l’export vinicolo a causa del balzello introdotto a ottobre: -30% le vendite sul mercato a stelle e strisce negli ultimi 3 mesi. Si sono moltiplicate in queste ultime settimane gli appelli all’amministrazione Usa e le petizioni on line accanto agli sforzi diplomatici dei governi europei per trovare un accordo.  A complicare ulteriormente il quadro è anche la questione della digital tax sui colossi del web, di fronte alla quale Trump ha minacciato pesanti ritorsioni.

Sintesi della vicenda sino ad oggi

 

  • Il Wto il 2 ottobre scorso, dopo un contenzioso durato 15 anni, autorizza Trump ad applicare dazi per 7,5 miliardi all’anno sulle merci provenienti dall’Europa, colpevole di aver violato le regole del libero mercato finanziando con soldi pubblici Airbus.
  • Il 18 dello stesso mese arriva la prima ondata di balzelli al 25% su un elenco di beni provenienti dai Paesi comunitari, compresi anche molti prodotti agroalimentari quali: vini francesi, oli iberici, formaggi, salumi, crostacei, molluschi, agrumi, succhi e liquori. L’Italia, nonostante fosse completamente estranea alla vicenda Airbus – Boeing, è risultata particolarmente coinvolta nel segmento delle Dop casearie, con alcune importanti produzioni quali Parmigiano reggiano, Grana padano, Pecorino, Gorgonzola pesantemente penalizzate. Per questi prodotti si stimano infatti circa 500 milioni di euro di riduzione del giro d’affari negli Usa.
  • Il 4 dicembre 2019 alla viglia del vertice Nato di Londra, Donald Trump torna a minacciare gli alleati europei, Francia in primis, con lo spauracchio di nuovi dazi fino al 100%, per un totale di 2,4 miliardi di dollari, in caso di approvazione della digital tax sui colossi americani del web, da Apple a Google, da Amazon a Facebook. Nel mirino dell’ufficio dello US Trade Representative, che ha già approntato una lista provvisoria di prodotti da colpire, lo Champagne, “graziato” dalla short list di ottobre, e diversi tipi di formaggi, dal Roquefort al Groviera.
  • Intanto scade il 13 gennaio, termine del periodo concesso dall’U.S. Trade Representative ai cittadini per rispondere online a una domanda: “Abolire o innalzare i dazi? E perché?”. Arrivano 25.622 risposte e, il giorno stesso, il commissario al Commercio per l’Ue Phil Hogan vola a Washington per incontrare Robert Lighthizer capo dell’Ustr. Il movimento d’opinione anti-tariffe viene guidato dal Comité Européen des Entreprises Vins e il Wine institute, le due maggiori associazioni di vignaioli Ue e Usa, che il 14 gennaio pubblicano un comunicato congiunto. L’appello chiede ai due governi di “rimuovere tutte le tariffe sul vino”, stabilendo il principio “zero for zero” e “wine for wine”.
  • Durante il World economic forum di Davos di fine gennaio, il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, annuncia la momentanea sospensione dell’ avvio della digital tax, rinviando la questione in sede Ocse e ottenendo in cambio dagli Usa l’impegno a non imporre tariffe di ritorsione.

 

L’impatto sull’export di food and beverage made in Italy

 

  • L’Italia esporta negli Stati Uniti alimenti e bevande per un controvalore di circa 4,5 miliardi di euro nel 2019, ed è il sesto Paese fornitore dopo Messico, Canada, Cina, Francia e Cile.
  • Il mercato statunitense per il food made in Italy è una destinazione importantissima, terza in ordine di importanza con una quota in valore sul totale dell’export agroalimentare tricolore del 10%.
  • Buona parte del giro d’affari è costituito da prodotti simbolo del made come formaggi, la pasta, il vino e l’olio di oliva, tutti beni che ad oggi risultano nella black list del Dipartimento del Commercio Usa.
  • Tra i formaggi, Parmigiano Reggiano Grana Padano hanno un valore delle esportazioni di 150 milioni di euro e il Pecorino di 65 milioni di euro. L’Italia è il primo fornitore negli Usa di formaggi di questa tipologia, mentre gli Usa sono la seconda destinazione del nostro export di formaggi di tipo grana dopo la Germania.
  • Quanto al vino, l’ Italia ne esporta verso gli Usa un valore pari a 1, 5 miliardi di euro, circa un quarto del totale delle esportazioni enologiche italiane nel mondo. Un ruolo determinante in questa crescita è da attribuire al Prosecco i cui flussi verso gli USA si sono più che quintuplicati negli ultimi 10 anni, arrivando a quota 334 milioni di euro. L’Italia è, in valore, il secondo fornitore di vino negli Usa dopo la Francia.
  • Olio di oliva: le esportazioni italiane verso Usa sono circa 440 milioni di euro. Italia si contende con la Spagna il primato tra i fornitore su questo mercato, mentre gli Usa sono il principale paese cliente dell’Italia.
  • Il valore dell’export di pasta ammonta a circa 300 milioni di euro, che di nuovo colloca il nostro Paese saldamente in cima alla classifica di principali Paesi fornitori negli Usa. Da parte loro gli Usa sono il secondo mercato di sbocco dopo la Germania.
  • Danno stimato per l’Italia:  2,455 miliardi di Euro, oltre la metà del valore delle nostro export di food and beverage presso gli Stati

Fonte: elaborazioni su dati Istat

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