A conti fatti le cantine italiane sembrano aver resistito abbastanza bene allo tsunami provocato da questa lunga emergenza socio-sanitaria non ancora esauritasi. Nonostante il vino sia nel novero dei comparti più colpiti del paniere agroalimentare, in ragione della sua elevata esposizione verso il canale della ristorazione e il mercato estero, il bilancio del 2020 è meno rosso di quanto era lecito aspettarsi all’indomani dello scoppio della crisi pandemica e sicuramente migliore dei principali competitor europei.
Il bilancio di un anno di Covid
Partiamo dall’export. Nel 2020 secondo l’ultimo rapporto Ismea sugli impatti dell’emergenza da Covid-19 nel settore agroalimentare, viene stimata una riduzione degli scambi mondiali di vino intorno al 6% in volume, per effetto del blocco quasi totale dell’Horeca, del turismo e del generalizzato indebolimento delle economie nazionali. La flessione in valore dovrebbe attestarsi a circa il 10% considerando il ribasso generalizzato dei prezzi internazionali nell’ultimo anno. In questo contesto all’Italia sembra essere andata decisamente meglio. L’ultimo aggiornamento a novembre dei dati del commercio estero dell’Istat indica una riduzione delle esportazioni nazionali di vino del 2,9% in volume e del 2,8% in valore, che salvo clamorose smentite a dicembre, dovrebbe portare a fine anno le nostre spedizioni attestarsi su un quantitativo di 20,7 milioni di ettolitri per un controvalore di 6,2 miliardi di euro.
Una perdita, rispetto ai 6,4 miliardi raggiunti nel 2019, che si rivela tutto sommato contenuta se messa in relazione a quella registrata dalla Francia (-7% in volume e – 10,8% in valore) e dalla Spagna ( rispettivamente – 10% e – 3,4%), sempre secondo elaborazioni Ismea su dati IHS. A questo va aggiunto anche che l’Italia potrebbe riappropriarsi del primato in termini di ettolitri esportati che le era stato recentemente scippato dalla Spagna, sua storica rivale nei flussi in volume.
Spostando ora lo sguardo a casa nostra, le forti restrizioni all’attività di bar e ristoranti, come è noto, hanno messo a dura prova la tenuta del sistema vinicolo nazionale, che vede nell’Horeca un riferimento commerciale importante e quasi esclusivo per alcune tipologie di vino di fascia top. In base alle recenti stime divulgate da Federalimentare le chiusure forzate hanno generato a fine 2020 un taglio di oltre un terzo dei consumi fuori casa, pari a circa 30 miliardi in meno sul 2019. Una parziale compensazione è provenuta dalla crescita record della spesa alimentare domestica (+7,4%), la più alta del decennio secondo il panel Ismea – Nielsen, di cui anche il vino di fascia media ha tratto vantaggio grazie a un incremento di oltre l’8% degli acquisti in valore.
Una buona parte della produzione vinicola è rimasta tuttavia in cantina, ma grazie all’introduzione, con il Dl Cura Italia, dello strumento del pegno rotativo per il settore vitivinicolo, molte aziende hanno potuto trasformare le giacenze di magazzino in garanzie per ottenere liquidità dalle banche. A questo proposito rimandiamo alla lettura del precedente articolo del nostro blog, in cui è stato illustrato il funzionamento del nuovo strumento a disposizione del comparto e la metodologia di valutazione standardizzata messa a punto dal team di Ettore Fieramosca Advisory, che sta operando per conto di alcune banche nella valorizzazione del magazzino di alcuni operatori presenti nei principali distretti italiani del vino di qualità.
Le aziende vinicole italiane nel cosiddetto “Next normal”
In un futuro post pandemico, che spesso ricorre con il nome di “New normal” o “Next normal”, a indicare una nuova quotidianità nella vita di persone e aziende maturata dopo lo shock di questi mesi, anche il mondo del vino risulta investito dal cambiamento. Ogni crisi genera del resto un rinnovamento, un ripensamento dei vecchi modelli di business e la messa a punto di strategie e soluzioni innovative per reagire e resistere. Così la pandemia ha fatto emergere con chiarezza tutti i limiti e la vulnerabilità dell’approccio monocanale, mentre ha impresso una forte accelerazione ai processi di trasformazione digitale che fino all’arrivo del Covid avevano interessato solo marginalmente il mondo del food & beverage. Molte cantine hanno reagito alla chiusura di bar e ristoranti rivolgendosi direttamente al consumatore finale, tramite soluzioni di e-commerce proprie o su siti terzi ma anche attraverso forme più o meno evolute di vendita diretta (per telefono, whats app, social) e home delivery. Secondo l’osservatorio Winemonitor di Nomisma le vendite di vino on-line sono letteralmente esplose, in Italia, arrivando a superare i 200 Milioni di euro ( quasi il doppio del 2019), un fatturato che sfiora il 7% degli introiti maturati presso la Gdo. Il capitale di conoscenza ed esperienza acquisito durante questo periodo complesso sarà sicuramente utile nell’assecondare il processo di transizione digitale (oltre che eco-sostenibile) che l’Unione Europea sta tracciando mediante la proposta della nuova Pac e la strategia del Green Deal.
Addensamenti e schiarite sul fronte internazionale
Sul fronte del commercio internazionale se le prospettive dei principali istituti di ricerca sono concordi nell’indicare per il 2023 un ritorno degli scambi di vino ai livelli pre-Covid, non vanno trascurate altre importanti macro variabili che potranno condizionare le dinamiche future delle relazioni commerciali e delle esportazioni italiane. Prima tra tutte la Brexit, che nonostante l’assenza di dazi grazie all’accordo raggiunto in extremis alla vigilia del divorzio del Regno Unito, sta comunque frenando le esportazioni nazionali, a causa principalmente di ostacoli di tipo amministrativo e burocratico.
Nel primo mese dopo l’uscita della Gran Bretagna le spedizioni italiane oltre Manica hanno accusato un crollo di oltre il 38%, mettendo a rischio, come sottolinea la Coldiretti, circa 3,4 miliardi di esportazioni agroalimentari Made in Italy, con in testa vino e Prosecco. Solo i prossimi mesi ci diranno l’esatta entità della perdita per il settore agroalimentare, per il quale va considerato oltre all’impatto delle nuove barriere di natura non tariffaria, anche la perdita di competitività rispetto ai partner commerciali britannici extra-Ue.
Segnali di disgelo sembrano invece caratterizzare le relazioni commerciali oltre Oceano, sia per effetto di un rinnovato atlantismo da parte dell’Italia e dell’Europa sia per effetto della nuova rotta impressa dall’amministrazione Biden. Secondo l’UIV Unione italiana vini il temuto “carosello” di febbraio della disputa Airbus-Boeing non ha portato a revisioni alle attuali tariffe sulle merci, lasciando immutato lo stato dell’arte verso diversi Paesi europei colpiti dai dazi aggiuntivi americani e salvando ancora una volta il vino italiano da nuove imposizioni tariffarie. “Da giorni nei corridoi di Bruxelles – ha commentato il segretario generale UIV, Paolo Castelletti – si discute di una possibile mutua sospensione dei dazi Airbus-Boeing come primo atto di distensione delle relazioni transatlantiche”. Un’apertura che riguarderebbe anche il capitolo della Digital Tax e che fa ben sperare sulla prossima ripresa dell’export delle cantine tricolori presso il primo buyer mondiale, dopo il brusco stop del 2020.